Diario del viaggio in Vietnam e Cambogia

Vietnam e Cambogia

E’ un’assolata mattinata di novembre quando il nostro gruppo, raggiunto dagli amici di Udine, lascia Pordenone alla volta dell’aeroporto di Venezia.

Velocemente ci lasciamo alle spalle il sabato pomeriggio, godendoci un bellissimo tramonto con posto in prima fila. In alcune raggiungiamo l’aeroporto internazionale di Hamad (città di Dhoa) in Qatar, dove ammirando lusso e tecnologia, attendiamo il prossimo volo.

E’ il primo pomeriggio di domenica quando atterriamo finalmente ad Hanoi dove ci aspetta la nostra guida Tam, giovane vietnamita allegro e dinamico, che ci accoglie con un grandissimo sorriso. Sbrigate le pratiche di sbarco e il controllo dei passaporti, ci dirigiamo al pullman. Partiamo alla volta del centro di Hanoi, la capitale politica del Vietnam, su una strada ben asfaltata e larghissima, attraversiamo distese di risaie, campi, frutteti ed orti, dai colori vividi e resi a tratti brillanti dall’umidità e dalla pioggia da poco scesa, tra il verde e il luccichio dell’acqua si nota qualche capello conico dei contadini che a mano coltivano e curano il proprio terreno.

Man mano che avviciniamo al centro città, la larga strada si fa più stretta e affollata, motorini sbucano da ogni angolo e prendono qualsiasi direzione, alcuni sembrano quasi scomparire accanto al pullman. Rimaniamo tutti stupiti da veri e propri eserciti di motorini fermi ai pochi semafori presenti, che formano uno sciame che al verde riparte compatto. Scopriamo che la segnaletica stradale è davvero poca ed è considerata più “una decorazione” che un’utilità o un segnale da rispettare. Scendiamo per la prima tappa e tutti ci tuffiamo uno vicino all’altro, ad attraversare la strada, tra i sorrisi dei passanti divertiti dalla nostra preoccupazione nel notare che pochi rallentano e praticamente nessuno si ferma per consentirci il passaggio. 

Siamo arrivati al lago Della Spada Restituita, uno dei più famosi ed importati dei molti presenti nella città di Hanoi. La leggenda narra che nel quindicesimo secolo un guerriero vietnamita vinse molte battaglie, grazie ad una spada magica donatagli dal Dio Tartaruga che gli consentì di ottenere anche la dipendenza dalla Cina; durante le sue esercitazioni in riva al lago emerse dalle acque una tartaruga gigante che gli chiese la spada per poterla restituire al Dio Dragone. Vista la sua importante vittoria il guerriero restituì la spada, e dal gesto prese poi il nome il lago. Si dice che ancora oggi qualcuno avvisti la tartaruga: porta molta fortuna!

Noi ci accontentiamo della riproduzione placcata in oro della stessa, accanto al tempio costruito sulla riva del lago. Incensi accesi, frutti e fiori coloratissimi, biscotti e offerte sono ben disposti davanti alle statue, ai vasi e importanti decorazioni. Lasciato il tempio passeggiamo attorno al lago, dove incrociamo le situazioni più disparate, sposi che fanno i servizi fotografici del proprio matrimonio e signore anziane che fanno ginnastica al ritmo di una radio a tutto volume. Un po’ provati dal lungo viaggio e dallo sbalzo climatico, raggiungiamo l’albergo per cena e pernottamento.

La mattina ci mettiamo in marcia sotto la pioggia per visitare un luogo molto importante della città e caro a tutto lo stato del Vietnam. Il mausoleo di Ho Chi Minh è una struttura alta e imponente che costudisce la salma del primo presidente del Vietnam, una figura quasi venerata in tutto il paese per essere stato non solo un presidente, ma quasi un padre per l’intero popolo, una guida, un maestro. Proprio alle spalle dello stesso si entra nel giardino della residenza presidenziale, un grande edificio lussuoso ed elegante: Tam ci spiega che lo stesso edificio è stato usato solo per gli incontri ufficiali dal presidente, poiché lui amava l’umiltà e la semplicità delle piccole cose. Poco più avanti passiamo davanti ad una casa ben più piccola e modesta, con due stanze nella quale Ho Chi Minh viveva davvero ed un’altra immersa nel verde completamente di legno nel quale amava studiare, scrivere ed incontrare i giovani studenti.

Nel verde lussureggiante del giardino c’è una piccola pagoda dedicata alla Dea Della Misericordia che si erige su di un solo pilastro e raggiungibile tramite una piccola scala molto ripida: solo poche persone possono salirci contemporaneamente. Luci scintillanti, il frutto chiamato “mano di Buddha” (che ha davvero la forma di una mano) e acqua benedetta sono le offerte che si presentano più numerose.

Prima del pranzo visitiamo il Tempio Della Letteratura, eretto su quella che è stata la prima università del Vietnam, costruito nel 1070 e dedicato a Confucio si presenta ricco di simboli: la capra che si trasforma in drago (dalle esperienze terrene a quelle sacre) ai vasi con grandi aperture verso l’alto per raccogliere e contenere le cose buone che invia il cielo. Il viale che divide il giardino e porta al tempio è scortato da dei quadri composti con i fiori indicanti (in cinese) le caratteristiche si dovrebbero avere o cercare di perseguire per essere delle buone persone come ad esempio Intelligenza, pazienza e  tolleranza. Incontriamo gruppi allegri di studenti neolaureati anche da diverse facoltà che si incontrano qui per fare le foto ricordo tutti insieme. Chi con la toga, chi con il vestito tradizionale, si muovono incuranti delle pozzanghere, divertiti e felici, concedendosi foto con tutti, anche con i turisti. Un luogo davvero speciale simbolo della cultura Vietnamita, che si trasforma nel fulcro delle 54 facoltà sparse per tutta la città in queste occasioni e luogo di culto per le centinaia di migliaia di studenti di Hanoi e non solo.

Nel pomeriggio usciamo dalla caotica città e andiamo a visitare le pagode “Della Felicità Celeste” e “Tay Phuong” (Del Paradiso): la prima è una costruzione lignea massiccia, circondata da un portico molto basso, aiuole di bonsai e statue di ogni forma e genere. L’usanza di un originale risparmio energetico, secondo la corrente elettrica viene staccata ad ore, fa si che visitiamo le grandi stanze in penombra. Risaltano comunque le numerose statue presenti: in particolare quella dedicata al primo monaco del tempio che si è incarnato ben tre volte, vicino a quarantanove candele una per ogni giorno di meditazione dello stesso. Ai lati del passaggio principale ci sono due statue enormi rappresentanti una il genio del bene, con il volto sorridente e la spada nella fondina e l’altra quello del male con il volto contrito e la spada sguainata.

Procediamo mettendoci d’impegno per salire i 237 scalini che ci portano alla seconda pagoda: costruita alla fine del XVI secolo le cui decorazioni sono state scolpite con legno di ferro, un legno molto duro e resistente.

Ritorniamo ad Hanoi e il nostro capo gruppo Gianni con Tam ci organizzano un fuori programma: una passeggiata per le vie del centro della capitale. Ben disposti in fila indiana ci incamminiamo un po’ nel poco spazio rimanente dei marciapiedi e un po’ sul ciglio delle strade. La mercanzia di tutti i negozi è ben disposta fino ad occupare buona parte del marciapiede, oppure gli stessi proprietari sono seduti in compagnia su piccole sedie attorno a piccoli tavoli. Ogni spazio che si affaccia sulla strada, ha davanti almeno uno di questi mini tavoli attorno ai quali si ritrovano numerosi per mangiare, bere, giocare a carte o semplicemente per stare insieme a chiacchierare.

Si confondono luci e suoni, profumi e odori di cucinini ambulanti che preparano di tutto e di più, movimenti veloci ma coordinati di chi cammina accanto a noi e dei motorini che sfrecciano e s’incrociano in continuazione ed in ogni direzione. Rientriamo in albergo per la seconda ed ultima notte nella capitale.

La mattina partiamo di buon’ora per raggiungere la costa. Prima di arrivare al porto ci concediamo un po’ di shopping in un negozio speciale in cui vengono vendute le perle delle coltivazioni della baia Ha Long. Possiamo scegliere tra diversi colori: scopriamo che dipendono dalla profondità dell’acqua nella quale la perla cresce, più profondità più è scura la perla.

In tarda mattinata arriviamo all’imbarcadero. Pochi minuti per il controllo dei documenti e saliamo a bordo. Quasi una nave da crociera in miniatura completamente a nostra disposizione! Qualche informazione di servizio e l’assegnazione delle camere e siamo pronti a salpare. Ci addentriamo nella Baia di Ha Long il luogo più visitato del Vietnam: 1976 isole più di un terzo di tutte le isole vietnamite che sono più di tremila. E’ inserita tra le sette meraviglie del mondo della natura ed è visitata da più di sei milioni di turisti ogni anno.

Il tempo non è dei migliori, ma anche se sono pochi i raggi di sole che riescono a penetrare le nuvole, quando illuminano gli isolotti, che ormai scorgiamo ovunque attorno a noi, il verde della loro vegetazione risalta vivido.

Navighiamo per qualche ora, il tempo per pranzare e scattare moltissime foto godendoci la brezza dal ponte principale sul terzo piano, dove ci si può anche rilassare su comode sedie a sdraio o attorno ai tavolini del bar che si trova al centro del ponte. Arrivati al centro di un gruppo di isolotti abbastanza vicini tra loro, saliamo a bordo di due imbarcazioni a motore più piccole che ci portano velocemente su una piattaforma attorno alla quale ci attendono una decina di barche a remi sulle ognuna delle quali c’è una persona armata di lunghi remi, vestita di viola e con il classico cappello conico vietnamita. Si avvicinano lentamente in fila ed per gruppi di sei saliamo con loro. In pochi minuti, accompagnati solo dai suoni del mare e dei remi che s’inabissano e riemergono ritmicamente, ci ritroviamo al centro del villaggio di pescatori: coloratissime casette galleggianti e alcune imbarcazioni vicine tra loro e lontane da tutto e da tutti. Poche famiglie che vivono di pesca e varia mercanzia venduta da piccole barche che si avvicinano ai battelli dei turisti, in un silenzio e una tranquillità quasi surreale se solo per un attimo si pensa ai ritmi di casa e al proprio quotidiano. Rientrati alla “piattaforma” di partenza i ragazzi che ci hanno accompagnati nel giro, remando senza sosta, terminano la giornata radunandosi sulla stessa e improvvisando una partitella di calcio, rimaniamo incantanti!

Rientrati sul nostro battello, ci rilassiamo e divertiamo con un mini corso di cucina. Il personale di bordo con l’aiuto di Tam ci insegna a fare gli involtini di piadine di riso. In pochi minuti il tavolo si riempie di involtini preparati da chi di noi vuole cimentarsi nella preparazione. Gli stessi vengono gustati con l’aperitivo. Trascorriamo la serata godendoci il panorama degli isolotti illuminati da tutte le luci dei battelli che come il nostro sono ancorati al centro del piccolo arcipelago, formando un alternativo villaggio galleggiante.

La sveglia suona all’alba, per chi lo desidera un ragazzo dell’equipaggio tiene una lezione di Thai Chi sul ponte. Un’esperienza indimenticabile, mentre il cielo si rischiara sempre di più, tra gli isolotti che sembrano guardarci curiosi, si seguono i suoi movimenti precisi e leggeri. Dopo la colazione si parte per visitare la grotta di Hang Sửng Sốt scoperta dai francesi nel 1907. Un’enorme cavità illuminata da luci calde che risaltano stalattiti e stalagmiti di svariate forme e dimensioni che ammiriamo in una breve passeggiata.

Uscendo dalla grotta lungo il pontile che ci riporta alle imbarcazioni, una fila di piccole barche forma un mercato del pesce galleggiante che è contenuto in grandi cesti immersi nell’acqua. Risaliti a bordo del battello, riprendiamo la navigazione alla volta della costa.

Nel pomeriggio ripercorriamo la strada a ritroso verso Hanoi per prendere l’aereo per Danang. In serata raggiungiamo la moderna città di Danang, le strade larghe e tutti gli edifici illuminati, ben curata e ordinata si presenta come una tipica località turistica. Infatti raggiungendo l’albergo che si trova proprio sulla spiaggia, possiamo ammirare una schiera di hotel a cinque stelle immersi in sconfinati parchi lussureggianti.

La mattina visitiamo la deliziosa Hoi An una cittadina portuale sul fiume Thu Bon famosa per essere stata un centro nevralgico del commercio vietnamita. Quando il fiume si è insabbiato cambiando il suo corso non ha più consentito il passaggio delle navi più grandi, facendo spostare il centro degli scambi nella più grande città di Da Nang. L’anima commerciale della cittadina è comunque viva, lungo le vie si susseguono negozi e gallerie d’arte. Visitiamo un grande laboratorio di sete dove siamo spettatori di tutto il procedimento, dai coltivazione dei bachi, alla costruzione di lanterne, alla tessitura di sciarpe, vestiario e al confezionamento di abiti su misura. Completati gli acquisti, passeggiamo sul ponte giapponese che collega due quartieri: quello giapponese da quello vietnamita. Ponte coperto costruito in tre anni alla fine del 1500 è un simbolo della geomanzia, si dice infatti che un diavolo si sia disteso sul continente asiatico con la testa in India, la coda in Giappone e il corpo in Vietnam e il ponte fu costruito proprio dove si trovava il grande demone. Lo stesso ponte contiene diverse statue, una contro lo stesso demone che servirebbe a tenerlo fermo, simbolicamente gli spostamenti dello stesso sarebbero i tifoni che si scatenano in queste zone almeno tre volte l’anno; i fenicotteri sopra le tartarughe simboleggiano la solidarietà, in periodo di siccità il primo aiuta la seconda e viceversa durante i periodi di allagamento. Visitata la casa di un ricco mercante del diciassettesimo secolo finemente decorata con il legno della mobilia e della costruzione stessa intarsiata di madreperla, ci incantiamo nel tempio Taoista del 1760, costruito dai cantonesi dedicato alla dama celeste protettrice di mercanti e marinai. Il silenzio in cui è immerso il tempio è rotto soltanto dallo scroscio dell’acqua della fontana rappresentante la capra che si trasforma in drago (metafora della vita spirituale) e dal canto di un uccellino che dalla sua gabbietta sembra voler accogliere tutti. La statua dei Lao Tse profeta precessore di Confucio ricorda che ognuno ha un destino che non si può cambiare, si può solo pregare.

Rientrando a Danang ci fermiamo ai piedi di una delle cinque montagne di marmo dove visitiamo una bottega di marmisti, perdendoci tra centinaia di statue e fontane finemente scolpite, l’arte di questi luoghi è proprio la lavorazione del marmo. Saliamo una gradinata a tratti letteralmente costruita con la montagna stessa per raggiungere il tempio di Xa Loi che si sviluppa in verticale: una torre su sette piani (numero sacro del Buddismo) che svetta tra il verde lussureggiante del monte. Raggiunta la meta realizziamo che è il luogo è ancora più complesso e affascinante. Nei pressi della suddetta, vialetti e sentieri si incrociano tra un’altra pagoda, una, a dir poco enorme, statua di Buddha di marmo bianchissimo che sembra brillare di luce propria tra il verde della vegetazione, fontane decorate con mosaici coloratissimi. Dietro alla pagoda in una cavità del monte (Grotta della non esistenza “Budda ha detto: nulla nasce, nulla muore”) altre statue di Budda riposano nella penombra.

Raggiunta la città, pranziamo e ci incamminiamo verso il vicino museo delle sculture di Cham. Il precisissimo Tam cartina alla mano ci presente un breve escursus della storia vietnamita, dalle antichissime influenze indiane, all’invasione e “gestione” francese, Danang si trova al centro dello stato ed è stato il punto di partenza dell’occupazione francese di metà ottocento.

Dopo la visita ripartiamo verso nord alla volta di Hue che raggiungiamo in serata e dove ci godiamo una passeggiata lungo il fiume Huong detto anche fiume dei profumi. Deve questo nome al fatto che lungo il corso del fiume ci sono talmente tante varietà di piante e fiori che questi vengono assorbiti dalle acque. La mattina presto fuori dall’albergo troviamo quaranta biciclette, già inforcate da altrettanti sorridenti vietnamiti pronti a “scarrozzarci” per una passeggiata alternativa. La particolare bicicletta a tre ruote, ha installato davanti una sedia accomodati sulla quale abbiamo ammirato le vie della città, sempre trafficatissime di motorini sfreccianti in ogni dove. Arriviamo alla pagoda della Dama Celeste, la cui leggenda narra che sia apparsa tra i contadini invitandoli a costruire una pagoda proprio su questa collina che si affaccia sul fiume, se avessero voluto possedere il territorio. All’entrata del grande giardino ritroviamo un’altra costruzione a torre (sempre a sette piani) che secondo la geomanzia (la stessa del ponte Giapponese di Hoi An) è stata costruita sulle vene di un dragone che porta benessere e fertilità. In questa pagoda ha vissuto un famosissimo monaco che proprio da qui è partito, nel giugno del 1963, alla volta di Saigon per formalizzare la propria protesta contro la violazione della libertà di religione da parte del regime. Arrivato nell’allora capitale, sedutosi nella posizione del loto (di meditazione) e si diede fuoco. Rimase intatto il suo cuore, anche dopo diversi tentativi di crematura. Fu così che il monaco entrò nella leggenda.

Torniamo verso il centro della città salendo a bordo di una tipica imbarcazione a motore: sostanzialmente una casa galleggiante posata su due coloratissimi dragoni. Le famiglie che possiedono queste barche infatti traghettano turisti lungo il fiume che attraversa la città e durante il tragitto vendono mercanzia di ogni tipo. Raggiungiamo un laboratorio artigianale dove assistiamo alla lavorazione e produzione di incensi e dei famosissimi cappelli conici. Scopriamo così che i cappelli prodotti per tutti hanno 16 cerchi di bambù mentre quelli destinati ai monaci ne hanno 17 a distinzione della vita ordinaria da quella monastica. Inoltre qui a Hue è tradizione inserire tra i due strati di bambù dei ritagli di giornale, che mettendo il cappello in controluce fa apparire il ponte Trang Tien, costruito da Eiffel e simbolo della città. Interessante è la successiva visita che facciamo al complesso monumentale della tomba del penultimo imperatore del Vietnam, Khai Dinh, la cui costruzione è iniziata nel 1920, molto prima della sua morte (1925) e terminata undici anni dopo. L’imponente costruzione si sviluppa su tre livelli ai quali si giunge tramite ripide scalinate. Su entrambi i lati del primo piazzale sembrano attendere i visitatori due file di statue di pietra: una prima fila rappresentate le guardie dell’imperatore (toccare la loro barba porta fortuna!) e una seconda fila di mandarini. Saliamo la seconda rampa di scale attorno ad una stele che domina il piazzale delle cerimonie e raggiungiamo l’edificio principale che contiene la tomba dell’imperatore. Tam ci racconta che non è stato un gran imperatore, non molto amato, perché durante il suo breve periodo sul trono è sempre stato troppo influenzato dai francesi, ne imitava lo stile di vita e il modo in cui ha deciso di costruire la propria tomba ne è una dimostrazione. Ha cercato di imitare lo stile europeo, risultando però un po’ pacchiano. Una statua bronzea raffigurante l’imperatore si trova sopra ad un altare (contenente il sarcofago) decorato da mosaici di maiolica e porcellana con i consueti colori sgargianti, alle spalle della stessa si trova un grande sole al tramonto, metafora della vita che termina.

Sempre nei dintorni di Hue si trova la città imperiale. Bombardata più volte sia dai francesi che durante la guerra del Vietnam della seconda metà del secolo, molti degli edifici sono in fase di restauro o non più presenti, ma visitiamo buona parte dei luoghi rimasti, ricchi di storia, spiritualità e sfarzo. Attraversato il ponte sul canale che circonda tutto il perimetro delle mura ci si trova davanti alle cinque porte d’entrata, sotto un tetto dai colori sgargianti dedicati all’imperatore (giallo) e ai mandarini (verde). Attraverso la porta centrale entrava l’imperatore, tramite quelle attigue i mandarini e tramite le ultime cavalli ed elefanti. Entrati, attraversiamo la spianata dei saluti e passeggiando sotto un sole cocente, ammiriamo il palazzo della pace suprema e il tempio dinastico a forma di ventaglio (per fare in modo che quando c’è vento si senta una sorta di musica). Segue il padiglione dello splendore sotto il portico del quale vi sono una grande chiave di marmo che serve a suonare la vicina campana dotata di tanti bottoni di diversa forma, i quali emettono ognuno una nota diversa; poco più avanti troviamo il tempio dedicato ai dieci migliori imperatori: un lungo portico aperto alle estremità, il legno dell’intera costruzione è laccato di rosso ed oro ma la sua brillantezza non sminuisce la suntuosità dei dieci altarini di legno accanto ad altrettanti ombrelli da cerimonia, ognuno dedicato ad un sovrano. Ci riposiamo un po’ di uno splendido ristorante immerso nel verde e ci dirigiamo all’aeroporto cittadino per lasciare la zona centrale del Vietnam verso la capitale economica del paese: Ho Chi Minh City.

Quindi nella prima serata ci ritroviamo in viaggio dall’aeroporto al centro della città e notiamo subito la differenza con le città del nord. L’influenza occidentale che ha subito la città durante la guerra permane ed è visibile tra imponenti grattacieli, nei palazzi ordinati, nei negozi più simili ai nostri che si susseguono lungo le vie. Sebbene ci si ripresentino schiere di motorini compatte e veloci, notiamo molte più automobili, anche di fabbricazione europea. Facendo una breve passeggiata dopo cena, si nota comunque come, lungo i marciapiedi ci siano, anche se in minor numero rispetto ad Hanoi, i piccoli tavolini colorati e piccoli cucinini trainati dai motorini che si fermano nel caso qualcuno voglia fare uno spuntino, in contrasto magari con un modernissimo e lussuoso concessionario a pochi metri.

La mattina ci si mette in marcia sempre di buon’ora. Oggi ci attende un luogo davvero particolare: Cu Chi, ovvero la famosa cittadina costruita dai Vietcong durante guerra del Vietnam.                                Sembrerebbe di passeggiare in un bosco qualsiasi se non ci fossero più di trenta gradi e un tasso di umidità elevatissimo! Prima di addentrarci nella boscaglia, ci accomodiamo in una stanza creata ad hoc per introdurre ciò che stiamo per vedere. Con l’aiuto di una mappa e un plastico, Tam ci spiega come in vent’anni i Vietcong siano riusciti a costruire duecentocinquanta kilometri di tunnel che si sviluppano su tre livelli. La mappa esplica e distingue le varie zone di controllo dei diversi eserciti, le basi e le zone contese. Spicca un triangolo, detto triangolo d’acciaio, che delimita una zona in cui vennero uccisi il maggior numero di americani, proprio all’interno dello stesso è stata scattata la famosa foto “della bambina” vincitrice del premio Pulitzer. Durante la guerra gli americano hanno sganciato bombe defoglianti alla diossina che hanno completamente bruciato la vegetazione in ettari ed ettari e contaminato profondamente il territorio. Le malattie e le malformazioni causate dalla diossina si elimineranno in cinque generazioni. All’altezza del diciassettesimo parallelo, una delle zone cruciali per la conquista del territorio, confine tra Vietnam del nord e del sud, sono stati scavati cunicoli ad una profondità anche di venticinque metri per contrastare le bombe perforanti Mig25. Ci avviamo addentrandoci nel bosco: in diversi punti sono stati ricostruiti degli accampamenti dei Vietcong, e dei ragazzi con la divisa degli stessi, ci mostrano le varietà di trappole e trabocchetti costruite scavando buche e riempite di bambù appuntiti ad esempio.

E’ sconvolgente quando proseguendo si iniziano a sentire degli spari. Poco più avanti infatti c’è una sorta di poligono dove, chi vuole, può imbracciare un fucile e sparare. Dopo aver ascoltato i racconti e provato ad attraversare un cunicolo, anche se solo per venti metri, è davvero impressionante sentire questi suoni. Non tutti vogliono provare ad attraversare il breve tratto consentito ai turisti, ed è comprensibile: un cunicolo è largo all’incirca 80 cm e alto all’incirca un metro e mezzo, il sistema di aerazione è costituito da canne di bambù che escono in superficie ogni 30 metri. Un’esperienza davvero memorabile.

Rientriamo ad Ho Chi Minh City e visitiamo il tempio dell’Imperatore di Giada: il patio della pagoda è un piccolo giardino che sembra quasi una serra in cui le piante si arrampicano su strutture di ferro e le panchine sono circondate da bonsai e fiori colorati; al lato destro del giardino c’è una grande vasca piena di tartarughe. La tartaruga, simbolo di longevità e fortuna, è un animale sacro al buddismo. All’interno del tempio, tra le varie statue si distinguono quelle dell’imperatore di giada che decide chi debba andare al paradiso e chi all’inferno e quelle che svettano ai suoi fianchi: due enormi statue di legno e carta pesta rappresentanti i demoni guardiani; in una piccola stanza adiacente c’è una sorta di salottino con dodici statue di donne, una per ogni mese dell’anno, con dei mantelli sgargianti: in questa stanza vengono a pregare le donne che cercano di avere dei figli e che magari hanno qualche difficoltà nel concepimento.

Nel pomeriggio prolunghiamo le riflessioni sui terribili anni della guerra del Vietnam visitando il museo ad essa dedicato. Un grande edificio in cui sono raccolte, su diversi piani, le testimonianze e le esperienze del popolo vietnamita e non solo. Il museo è affollato di turisti e non è raro incrociare occhi lucidi e volti un po’ provati; particolarmente interessante è la raccolta di foto e articoli giornalistici provenienti da tutto il mondo a simboleggiare la grande solidarietà ricevuta in quel periodo, dai leader mondiali, ma anche dalla gente comune e dai movimenti pacifisti.

Proseguiamo il tour della città che si rivela sempre più piacevolmente ricca di contrasti, tra giardini e parchi lussureggianti come da tradizione Vietnamita, eleganti edifici risalenti all’epoca francese e la modernità di grattacieli e negozi che si alternano continuamente gli uni con gl’altri. Mentre qualcuno si concede un massaggio in un centro benessere altri approfittano per passeggiare nel centro città o per salire sulla torre del Bitexco Financial Center, il più alto edificio della città, persino dotata di piattaforma per l’atterraggio degli elicotteri. Dal cinquantunesimo piano il panorama, al tramonto è mozzafiato. Tutta la città illuminata avvolge le rive del fiume Saigon che scorre maestoso proprio vicino alla torre.

Nel centro città si distende, per quasi un kilometro, una vasta aera pedonale che da un bellissimo edificio, “il palazzo del popolo”, una sorta di municipio, arriva fino alle rive del fiume Saigon. Tra vasche piene di fiori di loto vigila sull’intera piazza un’imponente statua del tanto caro al popolo vietnamita Ho Chi Minh. Al centro della suddetta ci lasciamo sorprendere da uno spettacolo di fontane danzanti tra luci colorate, iniziato improvvisamente tra i passanti festanti. Il dopo cena è dedicato ad un improvvisato tour degli alberghi più lussuosi della città: non per ammirarne gli sfarzi e la bellezza, ma perché sono stati dei punti di riferimento in tempo di guerra come ad esempio l’hotel Continental, dove risiedevano i giornalisti di tutto il mondo (anche la nostra Oriana Fallaci).

E’ giunto il nostro ultimo giorno in Vietnam…si parte verso il confine occidentale del paese, ma prima di raggiungerlo abbiamo ancora qualche tappa da fare. Lungo la strada, una visita la merita il tempio Caodaista di Cai Be: un tempio molto particolare dedicato al culto di questa religione nata proprio in Vietnam nemmeno cento anni fa. L’edificio, al contrario di tutte le pagode viste fino ad ora, è molto luminoso, le pareti laterali sono quasi interamente finestre ricavate scavando il muro a far comparire simboli di saggezza e longevità. Tutte le superfici, compresi pavimento e soffitto hanno colori sgargianti ed ogni colonna che delimita la navata centrale è avvolta dal corpo di draghi di un arancione brillante. I colori dominanti attorno al piccolo altare sono il rosso, del confucianesimo, il giallo del buddismo e il blu del taoismo: sopra quest’ultimo ci sono le figure più care a questa religione; la dea della misericordia, un profeta buddista, l’imperatore di giada, Gesù, Confucio, una fata e un guerriero Là; sul soffitto sono dipinte 3272 stelle. Ricco di fiori di loto e svastiche, si viene accolti dalla scritta “Dio è amore dell’umanità e della giustizia” e risulta essere un luogo davvero speciale dove è quasi impossibile sentirsi non accettati.

Proseguiamo il viaggio e in breve arriviamo ad un imbarcadero sul Mekong. Navigando lungo il fiume ci incantiamo a guardare le rive di questo corso che brulicano di abitazioni e negozi. Molte finiscono per diversi metri proprio sopra l’acqua, su palafitte, le maree sono frequenti (ogni sei ore circa e l’acqua sale anche di due metri). E’ un andirivieni continuo di imbarcazioni di ogni dimensione, notiamo che quasi tutte hanno dipinti sulla prua due occhi tondi: Tam ci spiega che il secondo imperatore del Vietnam, nel 1820, ha imposto questo disegno sulle barche per legge per far sì che si possa vedere bene anche durante la marea o in condizioni avverse.

Su barche strette e lunghe, si notato cappelli conici che trasportano soprattutto frutta e riso in gran quantità, persino il bar è galleggiante.

Ci fermiamo ad un pontile per una passeggiata: ciò che scopriamo dietro la folta vegetazione che divide i moli dalla riva segue precisamente la riva una stradina molto stretta, in cemento, che consente il passaggio di una persona e un motorino al massimo. Partiamo in fila indiana, a sinistra case e giardini a destra alberi da frutto, piante, fiori e tanto verde, interrotto da qualche spiazzo sapientemente sfruttato dai contadini del luogo: si trovano grandi ceste e reti di frutta e piadine di riso stesi a seccare al sole. Facciamo una pausa gustandoci un the preparato con lime e miele prodotto sul posto e un grappino di serpente per i più audaci; poco più avanti entriamo in quello che si direbbe un negozio, mercatino, di prodotti tipici, ma simo attirati da alcuni suoni: nella stanza accanto assistiamo alla produzione del riso soffiato. Il riso viene letteralmente lanciato all’interno di un caldere bollente con della sabbia nera che aiuta a mantenere la temperatura elevata così che bastino pochi secondi per far “scoppiare” il riso. Dopo di che viene passato in tre setacci, il primo per togliere la sabbia, il secondo per togliere la pula e il terzo per eventuali altre impurità, assaggiato appena lasciato in quest’ultimo, ancora caldo…una bontà!

L’ultimo pranzo vietnamita è davvero incantevole: una residenza in stile Vietnamita-Francese del periodo coloniale, oggi adibita a ristorante, ci consente di pranzare sotto una veranda immersa nel verde tutti accomodati su un tavolo imperiale. Assaggiamo il pesce elefante, specialità del luogo, viene servito praticamente intero e sapientemente spianto e pulito dalle cameriere che farciscono della sua carne involtini di riso avvolti al momento. Riacquistate un po’ di energie ripartiamo per la nostra meta: in serata raggiungiamo Chau Doc, città di confine conosciuta per l’abbondanza di pesci gatto che vengono gustati in mille modi diversi.

Salutiamo il Vietnam, complici del sole che albeggia dal Mekong, congedandoci anche da Tam che, instancabile, ci aiuta a caricare tutte le valigie sul grande motoscafo che ci poterà in Cambogia. Ci attendo all’incirca cinque ore di navigazione. La barca quasi vola sull’acqua mentre viaggia veloce risalendo la corrente di uno dei dieci fiumi più lunghi del mondo. Il panorama è una distesa di acqua, di grandi pianure che si alternano tra selvagge e coltivate, di rado s’incontrano barche di pescatori che sembrano essere sospese, lì in mezzo alle acque lontane dalla civiltà, qualche contadino chinato in mezzo al verde o gruppi di bambini che giocando a accompagno magrissime mucche al pascolo.

L’unica sosta dalla navigazione la effettuiamo per i controlli doganali al confine con la Cambogia, sulle acque del fiume delimitato da questo edificio arrampicato sulla riva.

Ancora un paio d’ore e in lontananza si iniziano ad intravedere degli edifici piuttosto alti che disegnano lo skyline tipico di una città. Così arriviamo e sbarchiamo a Phnom Penh, capitale della Cambogia, ha due milioni di abitanti e la fama di essere una città in forte espansione; negli ultimi anni ci sono moltissimi abitanti dei villaggi limitrofi che migrano in città per lavorare, e sono in aumento anche gli stranieri che decidono di investire sul mattone cambogiano.

Per regolamenti del paese non ci possiamo muovere in un gruppo tanto numeroso quanto il nostro e quindi ci dividiamo in due gruppi seguendo le due guide che conosciamo durante il pranzo: Ra e Societ.  Dedichiamo il pomeriggio alle visite del museo nazionale e del palazzo reale. Nel primo ammiriamo numerose sculture di arte Kmer che arrivano dai maggiori siti archeologici dello stato (principalmente Angkor) e dalle famiglie reali che hanno governato questo paese.

Il palazzo reale è in realtà definibile un perimetro reale, all’interno di alte mura infatti si concentrano diversi edifici e giardini curatissimi con siepi perfettamente sagomate e aiuole fiorite. Tutti gli edifici sono di colore bianco ed ogni tetto color oro ha profili finemente decorati che si slanciano verso l’alto, su ogni angolo e alla fine di ogni colmo, a forma di serpente, conferendo un aspetto suntuoso in perfetto stile Kmer. Particolare è la guglia che, svettante sopra la sala del trono, termina con una testa di Budda ha quattro facce, ognuna rivolta verso i quattro punti cardinali: la sala si può osservare solo attraverso porte e finestre, senza accedervi. Mentre è davvero incantevole visitare la Pagoda d’argento chiamata così perché il suo pavimento è costituito da mattonelle d’argento che paradossalmente non sono il bene più prezioso che vi è contenuto: numerosissime statue di Budda di svariate dimensioni sono raccolte e ordinate lungo il perimetro della grande stanza e sull’altare centrale se ne notano due, una d’oro massiccio (90 Kg) con più di duemila brillanti e una in smeraldo dal valore inestimabile, tanto che quella qui collocata è una copia e nessuno sa dove si trovi l’originale. All’esterno della pagoda ci sono due stupa (monumenti funerari) dedicati ad alcuni membri della famiglia reale. Altre zone sono chiuse al pubblico proprio perché abitate dalla stessa.

Dopo un giro al mercato centrale dove qualcuno ha optato per uno spuntino particolare (con ragni ed insetti (!)) visitiamo il centro città (by night) a bordo dei Tuk Tuk. Anche se il traffico è comunque sostenuto, come quello di ogni grande città che si rispetti, la vita sembra meno frenetica e i viali con alberi illuminati rendono idea di festa e l’aria frizzante lungo la riva del fiume e dei canali che si diramano per tutta la città.

Nella nuova giornata che ci accingiamo ad affrontare ci aspetta un lungo tragitto in pullman, trecento kilometri verso nord per raggiungere Siem Reap. Trecento kilometri non si direbbero poi così tanti, considerando tutti quelli percorsi fin d’ora ma la Cambogia non è certo un luogo che consente agilmente gli spostamenti. Basta uscire di poco dalle periferie della città e già non ci sono più strade asfaltate; la terra del battistrada è rossa e ricca di buche, anche molto profonde, la polvere entra anche facilmente nell’abitacolo, ma rende tutto ancora più suggestivo. Non si incrociano molte automobili, ci sono per lo più motorini e biciclette, non essendoci trasporti pubblici chi si deve spostare su lunghe distanze, si organizza con altri concittadini con dei pulmini, in modo da dividere i costi e viaggiare più comodamente. Durante la giornata di viaggio ci fermiamo in visita al sito archeologico di Sambor Prei Kuk che si trova lontano dalle strade principali e per raggiungerlo percorriamo strade strette in mezzo a villaggi e boschi. Tutte le abitazioni sono molto simili tra loro, sono sollevate su pali come di una palafitta, il portico sottostante è spesso arredato e abitabile: le case vengono costruite in questo modo per far si che si possa star più freschi di giorno al piano terra al riparo dal sole e al piano superiore di notte, anche al riparo dagli animali che popolano i boschi.

Durante questa tappa mentre ci aggiriamo nel bosco alla scoperta di torri e templi in arenaria risalenti al VII° secolo, ci accompagnano gruppi di bambini che in perfetto italiano ci mettono in guardia dall’inciampare su radici o pietre e introducono alcuni dettagli di ciò che andremo a vedere. In serata arriviamo a Siem Reap e nonostante il lungo viaggio, ci concediamo un giro nel centro della fervente cittadina, i tuk tuk sono sempre a disposizione e con un solo dollaro ti portano ovunque. Raggiungiamo la Pub Street, un quartiere decisamente chiassoso, nato per i turisti, nel quale non si contano locali alla moda, centri massaggio, negozi di souvenir e ci si può perdere tra luci al neon e musica ad alto volume.

Da Siem Reap ci vogliono pochi minuti per raggiungere il magico luogo nel quale trascorreremo l’intera giornata: i templi di Angkor.

Angkor Thom risalente al 1131, è stata la città imperiale del regno di Angkor, popolatissima, nel periodo di massima espansione del regno contava un milione di abitanti, molti di più di quelli della Londra dello stesso periodo. La cittadella ha un perimetro di tre kilometri ed è circondata da un fossato artificiale che era usato sia come difesa che come sistema di irrigazione, le sue mura hanno cinque porte sopra ognuna di esse ci sono quattro facce di Budda-Visnù, rivolte verso i quattro punti cardinali, che rappresentano una compassione, una serenità, una simpatia e l’atra bontà d’animo: gli stessi faccioni si presentano nel tempio di Bayon, ce ne sono 256 a aggirarsi tra portici, scalinate e corridoi scoprendone ad ogni angolo è stupefacente. Bayon è il tempio principale di Angkor Thom, sacro per la guerra, è stato costruito come ringraziamento agli dei Indù e a Budda per le battaglie vinte, si sviluppa si un basamento di laterite, occupa un kilometro quadrato sviluppandosi su un tre livelli. Curatissimi nei dettagli sono i bassorilievi scolpiti da tre gruppi di artigiani che si susseguivano: scalpellatori, lucidatori e tintori (tutto era dipinto di rosso) a raccontare la storia della religione buddista e a descrivere scene di vita quotidiana. Ci sono 154 torri che rappresentano le 54 provincie della Cambogia ed è stato costruito nel 1181.

All’interno della cittadella di Angkor Thom saliamo sul monumento Phimeanakas Gate, detto porta del paradiso, che è uno dei più antichi di tutto il sito e si sviluppa in verticale, salire le ripide scalinate è un’impresa, ma la vista è impagabile; proseguiamo sulla “Terrazza degli elefanti” e sulla “Terrazza del re lebbroso”. Usciamo dalla cittadella imperiale e con i pulmini raggiungiamo il tempio Ta Prohm molto famoso per essere diventato la location per il film Tomb Rider rimane uno dei luoghi più particolari per essere stato solo in parte restaurato. Al suo interno ci sono moltissimi cumoli di pietre che sono esattamente dov’erano quando il tempio è stato scoperto, la scelta di questo stato di conservazione è stata fatta per mantenere e far risaltare la simbiosi raggiunta tra la costruzione e la giungla. Ficus strangolatori e vari alberi sono cresciuti letteralmente sulle mura diventandone parte integrante. Radici che seguono gallerie per metri, abbracciano porte o addirittura sostengono porticati. Affascinante.

Nel pomeriggio ci incantiamo di fronte al tempio di Angkor Watt, simbolo della Cambogia è il più grande monumento religioso del mondo. Costruito nella prima metà dell’undicesimo secolo in poco più di quarant’anni è stato luogo di culto sia induista che buddista ed è il più alto (68 metri) tra tutti i templi del sito, si trova all’interno di un rettangolo verde circondato da un fossato che lo fa sembrare un isolotto disegnato tra tutto il verde circostante. Percorsa la strada sull’acqua per raggiungerlo entriamo dalla porta centrale, una volta destinata all’ingresso degli imperatori. Il viale che porta al tempio è affiancato da una serie di palme da zucchero e si stende al centro di un prato verdissimo con due bacini d’acqua pieni di fiori di loto nei quali il tempio si riflette specchiandosi maestoso con le sue cinque torri. Trascorriamo l’intero pomeriggio al suo interno perdendoci tra i suoi lunghi corridoi e portici, ammirando i giochi di luce che il sole al tramonto crea attraverso le finestre riempite da colonnine distanti pochi centimetri l’una dall’altra.

Ci godiamo l’ultimo giorno in Cambogia con un particolare giro in barca lungo il fiume Siem Reap che sfocia nel Grande Lago (Tonle Sap) che è il più esteso del Sud Est Asiatico. Attraversiamo un villaggio davvero unico al mondo: abitazioni, scuole, chiese e botteghe sono galleggianti. Lungo canali stretti attraverso i quali dobbiamo anche urtare alcune barche per passare, ammiriamo scene di vita quotidiana di persone che sembrano vivere in un’altra dimensione, su queste costruzioni ed imbarcazioni dai colori vivaci allineate tra canneti e mangrovie. Arrivati alla foce sul lago ci fermiamo in un negozio di souvenir che è anche un allevamento di coccodrilli che osserviamo dormire tranquilli sotto il sole all’interno di una particolare recinto che s’immerge nell’acqua.

Rientrando verso il centro della città in una stradina di campagna spiccano dei tendoni bianchi con dei drappeggi colorati, la guida ci propone di scendere per fare gli auguri agli sposi, così ci imbuchiamo letteralmente ad un matrimonio che si sta svolgendo nel giardino dell’abitazione della sposa. E’ tradizione che gli abitanti del villaggio che vogliono partecipare alla festa portino qualcosa da cucinare e allestiscono una cucina e preparino il banchetto per tutti. I festeggiamenti durano dai due ai tre giorni. A questo particolare fuori programma, nel pomeriggio ne segue un altro, infatti lungo la strada che ci porta all’aeroporto ci fermiamo in un bellissimo tempio alla periferia della città dove, chi vuole, riceve la benedizione di un monaco. Entriamo in una piccola stanza dove, scalzi ed inginocchiati uno accanto all’altro, ascoltiamo i versi ridondanti che il monaco pronuncia mentre impartisce la benedizione con l’acqua benedetta. Al termine estrae da una matassa dei pezzi di filo rosso benedetto e li lega al polso di ognuno di noi con un nuovo augurio di felicità e fortuna.

La sera decolliamo dall’aeroporto della città cambogiana verso Bangkok per il primo cambio, poi il secondo all’alba a Doha alla volta di Venezia dove atterriamo nel primo pomeriggio.

Un viaggio indimenticabile! Popolazioni ricche di una cultura e filosofia millenarie che le immense tragedie vissute lungo il secolo scorso sembrano non aver scalfito, i sorrisi e la modestia del popolo Vietnamita, la pacatezza e la serenità di quello Cambogiano, risaltano incorniciate da panorami dai colori intensi: il rosso delle pagode confuciane e buddiste, delle strade cambogiane; il verde della vegetazione rigogliosa, dei campi di riso; il rosa dei fiori di loto; l’oro del sole e delle statue di budda sorridenti.

 

Roberta